Posts written by tarantola17

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    Ciao, com'è andata l'infusione?
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    Ma quanto mi fà piacere leggere ulteriori aggiornamenti positivi (e poi quel piatto in foto è così invitante!). La tua determinazione e forza di volontà è tanta e nessuno ti fermerà più, nè sono certa. Spero si risolva anche il problema della pericardite che comprendo ti preoccupi.
    Spero di rileggerti presto. Un grande abbraccio!
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    Ciao e benvenuta/o,
    se ti va raccontaci qualcosa di te.
    Un abbraccio.
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    Ciao,
    per la folina ogni medico dà indicazioni diverse mentre per quanto riguarda il metho intramuscolo, non fà male ma di solito non si riesce a farselo da se. A me le faceva mia mamma.
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    Sono davvero felice Alex. Spero che le cose possano andare ancora meglio per te.
    Un abbraccio.
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    Subito dopo il torneo di Wimbledon del 2018 a Caroline Wozniacki è stata diagnosticata l'artrite reumatoide e la tennista danese si è così resa conto di aver giocato tutta la stagione (e di aver vinto il suo primo Grande Slam agli Australian Open di gennaio) con la malattia. «Non avrei mai pensato che io, un'atleta professionista, potessi avere l'artrite reumatoide - ha raccontato la Wozniacki alla rivista People - . Non mi era mai venuto in mente che un'atleta sana e forte potesse avere qualcosa del genere». All'inizio la campionessa di tennis pensava che quel suo sentirsi più apatica e dolorante del solito dipendesse dal fatto di aver esagerato con l'allenamento, ma poi una mattina il suo mondo si è capovolto.

    La diagnosi

    «Un giorno mi sono svegliata dopo una partita di tre ore e mezzo e non riuscivo ad alzarmi dal letto, non potevo fare nulla - ha continuato Caroline - e in quel momento ho capito che qualcosa non andava, così ho iniziato a vedere dottori su dottori, ma nessuno sapeva cosa ci fosse di sbagliato in me. Poi, dopo aver fatto tutti gli esami del sangue, è venuto fuori che avevo una malattia cronica e che poteva essere lupus, ma poi siamo andati avanti e abbiamo fatto altri test e si è scoperto che era artrite reumatoide. Lo confesso, all'inizio è stato uno choc ma, al tempo stesso, ero davvero felice che avessero capito cosa fosse e che potessi quindi trovare un modo per sentirmi meglio».

    Si può gestire

    Patologia infiammatoria cronica sistemica, che colpisce le piccole e grandi articolazioni, che diventano dolenti e tumefatte e vanno deformandosi con il passare del tempo, l'artrite reumatoide non ha una cura e può essere trattata solo con i farmaci ma, una volta diagnosticata, si può gestire senza troppo problemi. «Dopo aver vinto Pechino ho capito che niente avrebbe potuto fermarmi - ha detto Wozniacki - . L'artrite reumatoide rende una serie di attività più impegnative e con la quale devo convivere ogni giorno, ma ho vinto alcuni dei titoli più importanti della mia carriera con questa patologia e non ho mai voluto usarla come una scusa».

    Una vita normale

    Ecco perché non è a causa dell'artrite reumatoide che ha deciso di ritirarsi dopo gli Australian Open del 2020, anche se questa malattia avrà comunque una parte importante nel suo futuro. «Il tempo medio che passa dai sintomi alla diagnosi è di sette anni - ha concluso la tennista - e una volta apprese ulteriori informazioni sulla malattia, ho capito che era importante condividere la mia storia per sensibilizzare gli altri e far capire che tutto è possibile, basta rimanere positivi e razionalizzare: è questa la chiave per continuare a condurre una vita normale».

    26 dicembre 2019 (modifica il 26 dicembre 2019 | 12:30)

    FONTE: CORRIERE SALUTE
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    Nella maggior parte dei casi il mal di schiena è legato a cause meccaniche, per esempio all’artrosi o a semplici contratture muscolari. Talvolta però può avere origine infiammatoria ed essere spia di un gruppo di malattie reumatiche, le spondiloentesoartriti, che comportano alterazioni a carico della colonna vertebrale, delle articolazioni e dei tendini. La più comune di queste malattie è la spondilite anchilosante.

    Quali sono le caratteristiche?

    «La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica che colpisce lo scheletro assiale (colonna lombare, dorsale e cervicale; bacino), soprattutto in corrispondenza dell’inserzione di tendini e legamenti, in grado di determinare una diffusa rigidità. La malattia è più comune negli uomini, soprattutto nella fascia di età tra i 25 e i 45 anni, e spesso insorge in persone con una predisposizione genetica. In circa il 90 per cento dei casi, i pazienti presentano infatti il gene HLA B27» premette Roberto Caporali, direttore dell’Unità operativa complessa di reumatologia clinica presso l’Ospedale Gaetano Pini-Cto di Milano e professore di Reumatologia all’Università degli Studi di Milano. Diversamente dal mal di schiena infiammatorio, quello di origine «meccanica», oltre a essere di gran lunga più comune nella popolazione, causa un dolore più diurno che tipicamente aumenta con il movimento e diminuisce con il riposo. Spesso la causa è una semplice contrattura muscolare. A volte il dolore è legato a una discopatia, ovvero un’alterazione che riguarda il disco intervertebrale.



    Quando va sospettata?

    «Mal di schiena soprattutto notturno, rigidità mattutina prolungata, limitazioni nei movimenti e problemi della colonna vertebrale o del bacino che non si risolvono nell’arco di tre mesi e che non hanno un’altra spiegazione sono tutti sintomi che non vanno ignorati. Tipico della spondilite anchilosante è anche il dolore che si irradia alla coscia fino al ginocchio con un andamento alternante alle natiche. Non solo, la malattia è spesso accompagnata da altre problematiche, dalle tendiniti (di frequente è coinvolto il tendine d’Achille) alla psoriasi, dall’uveite (infiammazione oculare della membrana interposta tra la sclera e la retina) alle malattie infiammatorie croniche intestinali».



    Riconoscere i sintomi

    Dolore lombare che dura da almeno tre mesi; dolore che si presenta soprattutto a riposo e spesso insorge nella seconda parte della notte; dolore che migliora con il movimento; presenza di rigidità mattutina superiore a 30 minuti; dolore che talora ha un andamento alternato alle natiche («basculante»); dolore che a volte si irradia alla coscia e non va oltre il ginocchio. A volte sono presenti disturbi associati come tendiniti, uveite, fascite plantare, artriti periferiche, psoriasi e malattie infiammatorie croniche intestinali.

    Forme iniziali e avanzate

    La spondilite anchilosante colpisce soprattutto i maschi, tra i 25 e i 45 anni. Nelle forme iniziali le strutture legamentose tra le vertebre si infiammano. Nelle forme avanzate l’infiammazione si può estendere a tratti sempre più estesi della colonna, causando l’ossificazione delle strutture legamentose e una progressiva alterazione della postura con ridotta mobilità.



    Come si effettua la diagnosi?

    «Una delle maggiori criticità della spondilite anchilosante e delle spondiloentesoartriti in generale è la diagnosi tardiva legata al fatto che il mal di schiena è un sintomo molto comune nella popolazione: più di nove persone su dieci ne soffrono almeno una volta nella vita. Tuttavia se i disturbi perdurano oltre i tre mesi, in particolare nelle persone sotto i 45 anni, è consigliabile fare una visita reumatologica ed eventualmente eseguire una risonanza magnetica o una radiografia, a seconda del presunto stadio della malattia. Nelle forme iniziali, è opportuno ricorrere alla risonanza magnetica che permette di evidenziare l’edema dell’osso, manifestazione abbastanza tipica di questa condizione. Nel caso di malattia più avanzata è spesso sufficiente la radiografia con la quale risultano ben evidenti i danni ormai irreversibili verificatesi a carico delle strutture ossee e legamentose. Per avere un quadro più completo, è poi utile eseguire alcuni esami del sangue, per esempio gli indici di infiammazione, nonché la ricerca del gene HLA B27 (il 90% dei soggetti con spondilite anchilosante è positivo per la sua presenza)».

    È possibile curarla?

    «Prima si interviene, minore è il rischio di sviluppare danni irreversibili alla colonna vertebrale, in particolare una sua fusione “a canna di bamboo”». Il primo livello di trattamento nelle forme iniziali prevede l’uso di antinfiammatori non steroidei o degli inibitori selettivi dell’enzima Cox-2 (coxib) Nei pazienti che non rispondono a questo trattamento si ricorre ai farmaci biologici. È sempre fondamentale avviare un programma di fisioterapia con esercizi per mantenere una buona mobilità articolare della colonna e potenziarne la muscolatura.

    Fisioterapia e yoga

    La riabilitazione è un caposaldo del trattamento della spondilite anchilosante, qualunque sia lo stato evolutivo della malattia. La fisioterapia serve per ridurre il dolore e la rigidità articolare, aiuta a mantenere l’escursione delle articolazioni della colonna e di quelle periferiche, previene la riduzione della massa muscolare e le deformità articolari, migliora la pastura e ha di conseguenza un impatto positivo sulla qualità della vita in generale. Il fisioterapista si può avvalere di diverse metodiche, da programmi educazionali a esercizi domiciliari. Utile anche la pratica sportiva. Gli sport più adatti sono il nuoto o l’acquagym, il pilates, lo yoga o simili, che abbinano l’allungamento tendineo agli esercizi di respirazione e di controllo della postura.

    FONTE: CORRIERE SALUTE
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    Quando il sistema immunitario «impazzisce» e attacca i propri tessuti si verificano patologie come artrite reumatoide o tiroiditi. Le cause sono genetiche, ma anche lo stile di vita ha molta importanza. La diagnosi precoce consente terapie più efficaci


    Più forti, ma anche più fragili. Le donne non sono uguali agli uomini quando si tratta di difendersi dalle infezioni: hanno infatti un sistema immunitario super-efficiente e sono in grado di tenere testa molto meglio agli «intrusi» pericolosi. Difese così agguerrite, però, se vanno fuori controllo possono diventare un problema serio: così le donne hanno anche un maggior rischio di ammalarsi di patologie autoimmuni, quelle in cui il sistema immunitario «impazzisce» e reagisce contro i tessuti dell’organismo. Un equilibrio delicato, spiegato nei dettagli nel libro Fortissime per natura(Piemme) appena pubblicato da Carlo Selmi, responsabile di Reumatologia e Immunologia Clinica dell’Irccs Istituto Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University, che fin dal titolo fa intuire come l’esercito che ci difende dai germi abbia una marcia in più nel sesso femminile: una caratteristica che contribuisce a spiegare perché anche il nuovo Sars-CoV-2 sembri a oggi meno aggressivo nelle donne.

    L’esperienza Covid

    «I due sessi soffrono in modo diverso di malattie differenti e Covid-19 non fa eccezione, è anzi l’ennesimo caso di malattia infettiva in cui gli uomini hanno esiti peggiori rispetto alle donne», specifica Selmi. «Va detto che i dati di contagio non sono ancora completi, tuttavia l’impressione è che siano più colpiti i maschi. Il rischio di infezione in realtà non dovrebbe essere significativamente differente, se si esclude forse il fatto che le donne sono in genere più ligie nei confronti di indicazioni di prevenzione e terapie; sembra perciò verosimile che anche nel caso di Covid-19 la malattia abbia manifestazioni più gravi al maschile. Del resto fra i pazienti con un decorso più severo oltre 6 casi su 10 sono uomini: possono avere un peso abitudini come il fumo, più diffuse fra i maschi, o anche la diversa espressione della “porta” molecolare per l’ingresso del virus (il recettore ACE2, che protegge il polmone dalle infezioni ma viene “sequestrato” dal coronavirus: il gene che lo codifica è sul cromosoma sessuale X che le donne posseggono in doppia copia con possibili effetti sulla quantità di questo recettore, ndr). Di sicuro l’esito diverso è spiegato però in buona parte dalle differenze nell’immunità, innata e acquisita».
    La prima è la componente di difesa istantanea, che si attiva a prescindere dal germe e dalle esperienze precedenti; la seconda è quella per cui si formano anticorpi di memoria, specifici per il microrganismo contro cui si combatte, e che consente di essere protetti in caso di un secondo incontro con lo stesso nemico.

    Scelte evolutive

    Entrambe sono più robuste nelle donne, e non è un caso come fa notare Selmi: «La donna è la chiave del processo evolutivo della specie, il fulcro del meccanismo di autoconservazione: la natura la vuole proteggere dalle infezioni, soprattutto in età fertile e in gravidanza, quando le difese raggiungono livelli stupefacenti. La maggiore “irascibilità” del sistema immunitario femminile però ha un rovescio della medaglia, si traduce infatti in una maggiore predisposizione a reagire erroneamente a stimoli innocui».

    Oltre cento patologie

    Le malattie autoimmuni, infatti, sono per lo più un problema al femminile: si tratta di un centinaio di patologie croniche che per l’80 per cento colpiscono le donne, soprattutto prima della menopausa. Tutte le malattie autoimmuni sono multifattoriali, conta cioè la predisposizione genetica ma poi per scatenare l’auto-aggressione occorrono altre condizioni legate all’ambiente, come le infezioni batteriche o virali. Purtroppo prevenirle è difficile, come spiega Selmi: «Lo stile di vita conta, per cui certamente è bene non fumare e non essere in sovrappeso: sappiamo che l’incidenza è inferiore in chi segue la dieta mediterranea e che le malattie autoimmuni hanno un decorso peggiore in chi ha chili di troppo. Detto ciò però è impossibile una prevenzione davvero mirata».

    Diagnostica migliore

    Queste patologie sono in crescita e si sono tirati in ballo tanti fattori per spiegarlo, dallo smog al fumo, dalla sedentarietà alle radiazioni; in realtà secondo l’esperto l’incremento dipende soprattutto dal miglioramento dei test diagnostici, pur restando malattie non facili da riconoscere perché spesso non hanno sintomi netti, soprattutto all’inizio. «Profonda stanchezza, febbricola, malessere, dolori articolari sono segni frequenti, ma comuni a molte altre patologie e poco specifici», precisa Selmi. «Tuttavia una diagnosi corretta e tempestiva delle malattie autoimmuni è decisiva, perché riconoscerle nelle prime fasi consente di iniziare la terapia prima che si instaurino danni permanenti a tessuti e organi, evitando la perdita della funzionalità. Le cure hanno fatto grandi passi avanti: non ne esistono di risolutive, che riprogrammino il sistema immunitario consentendo una completa guarigione, ma i farmaci biologici, per esempio, hanno rivoluzionato il trattamento di molte patologie e oggi la maggioranza dei malati può condurre una vita del tutto normale, seppur tenendo conto di dover assumere un numero elevato di medicine di vario tipo».

    Le cure

    Per ogni paziente va sempre valutato il rapporto costo-beneficio perché se da una parte i farmaci, per esempio quelli biologici ma anche i più classici cortisonici, tengono sotto controllo la malattia, dall’altra essendo spesso immunosoppressivi e da assumere per molto tempo possono rendere meno «intelligente» il sistema immunitario esponendo di più alle infezioni. «Non facilitano invece il cancro, come si è erroneamente ritenuto in passato», puntualizza Selmi.
    Si cerca dove possibile di ovviare usando immunomodulatori, ma pensando all’ipotesi di una maggior fragilità di fronte ai germi viene da chiedersi se allora i pazienti con malattie autoimmuni siano più esposti al Covid-19. «Non è così, anzi sembra quasi il contrario: del resto svariati farmaci impiegati contro malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide si stanno testando contro il coronavirus», risponde Selmi. «La Società Italiana di Reumatologia, proprio per capirne di più, ha avviato un registro di pazienti con Covid-19 e artrite reumatoide. Fra i miei con lupus eritematoso sistemico in terapia con idrossiclorochina, per esempio, nessuno si è ammalato; fra quelli con artrite reumatoide ci sono stati quattro casi, tutti risolti. È però presto per trarre qualsiasi conclusione, serviranno ulteriori studi», conclude l’esperto.

    28 maggio 2020 (modifica il 28 maggio 2020 | 19:14)
    FONTE: CORRIERE SALUTE
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    Giovedì 25 giugno alle ore 16, collegandosi a Corriere.it, si potrà assistere all’incontro in streaming video. L’evento sarà l’occasione per presentare la campagna «Obiettivo remissione», a cura dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici



    Giovedì 25 giugno alle ore 16, collegandosi a Corriere.it si potrà assistere all’incontro in streaming video «Malattie reumatiche sotto controllo. Il ruolo del medico e quello del paziente». Partecipano Luigi Sinigaglia, presidente della Società Italiana di Reumatologia; Roberto Caporali, direttore del Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano; Silvia Tonolo, presidente ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici).

    Il tema dell’incontro

    Sarà l’occasione per parlare della gestione ottimale delle malattie reumatiche, alla luce dei progressi negli ultimi anni, fino alla possibilità di ottenere quella che tecnicamente viene definita «remissione». Obiettivo che può essere conseguito grazie alla crescente efficacia dei trattamenti disponibili e anche alla loro maggiore facilità di somministrazione, che permette una migliore aderenza alla terapia. Il traguardo della remissione però è condizionato da una stretta collaborazione fra il paziente e i medici che lo hanno in cura. Proprio per sottolineare l’importanza del ruolo dei malati durante l’evento sarà presentata la campagna «Obiettivo remissione» realizzata dall’ Associazione Nazionale Malati Reumatici.

    Le vostre domande

    I lettori possono proporre domande inviandole all’indirizzo mail [email protected]. Verranno selezionate quelle che ricorreranno con maggior frequenza.
    9 giugno 2020 (modifica il 9 giugno 2020 | 10:20)

    FONTE: CORRIERE SALUTE
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    Ciao,
    concordo con Stefano anche perchè i biologici da privato non si possono prescrivere.
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    Ciao Saretta,
    benvenuta. Mi scuso ma non ho visto prima la tua presentazione.
    Stefano ti ha già dato degli ottimi consigli.
    Nello specifico io non posso aiutarti avendo intrapreso la scelta di non avere figli.
    Ti auguro comunque il meglio e spero che qualche donna che ha avuto gravidanze possa darti la propria esperienza.
    Un abbraccio.
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    Ciao Patrizia,
    la spondilosi è una malattia dove avviene lo slittamento delle vertebre (una sull'altra) e non è autoimmune e di competenza reumatologica. Quindi purtroppo non possiamo aiutarti. Suppongo ci vorrà un bravo neurochirurgo che valuti la situazione.
    Un abbraccio.
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    CITAZIONE (alecchese87 @ 5/6/2020, 12:31) 
    Buongiorno di nuovo a tutti

    Non volevo aprire un nuovo topic visto che la domanda è inerente.

    Ho preso ieri pomeriggio la prima dose di Imraldi, stamattina al risveglio ho notato un miglioramento dei dolori rispetto ai giorni scorsi.

    La domanda che mi faccio è questa:

    Il farmaco fa subito il suo effetto (quindi per migliorare ancora dovrò aspettare la seconda dose), oppure ci sta che nei prossimi giorni ci possa essere un ulteriore miglioramento?

    Grazie

    Un saluto a tutti

    Alex

    Ciao Alex,
    il tutto è soggettivo e posso dirti che a me l'unico biologico (in 14 anni) che mi ha fatto stare bene dal giorno dopo è stato Humira (credo Imraldi sia il generico) ed era quello che anche alla lunga funzionava meglio se non fossero subentrati altri problemi. Il mio consiglio è di goderti sempre e cmq i momenti buoni augurandoti che possano durare a lungo.
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    Sono tanto felice che stà piano piano tutto tornando a posto. Ci vuole costanza e pazienza ma direi che non ti manca proprio nulla. Sei stato e sei molto bravo. Presto sarà solo un ricordo di cui farne esperienza.
    Un grande abbraccio.
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    CITAZIONE (ElloG @ 28/5/2020, 17:22) 
    Ciao a tutti :) Purtroppo la quarantena mi ha portato davvero molta ansia e stress, con il risultato che la sera non riesco proprio a prendere sonno.. non mi era mai capitato per un periodo così lungo di soffrire di insonnia (solo episodi sporadici). Sarà sicuramente colpa anche della sedentarietà...poi ovvio, l'incertezza sul futuro e i pensieri vari sul virus di certo non aiutano. Il problema è che anche ora che è stata ristabilita una (quasi) libertà, l'insonnia e lo stress non sono spariti ;_; ho pensato di iniziare a prendere la melatonina o anche la valeriana per provare a vedere se riesco a prendere sonno e a rilassarmi la sera. Mi hanno parlato di questi integratori naturali a base di erbe e melatonina, ma mi è venuto il dubbio che possano creare dipendenza come i sonniferi.. vorrei capire un attimo e informarmi prima di comprarli.. Sul sito in realtà c'è scritto che non danno assuefazione. Voi che dite? Li avete mai provati e mi potete confermare questa cosa? E in generale la melatonina me la consigliate?

    Grazieee :b: =)

    Ciao,
    ti capisco in quanto sono stata chiusa in casa 3 mesi e oltre ai problemi di insonnia che in fondo non mancavano nemmeno prima, mi è venuta pure depressione. Non posso darti consigli in quanto da anni prendo benzodiazepine per dormire in quanto le cose naturali mi facevano "il solletico". Spero tanto che nel frattempo tu abbia risolto.
    Un abbraccio.
8594 replies since 5/8/2005
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