Quel mal di schiena (più frequente nei maschi) che può danneggiare la colonna

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    Alessandra

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    Azzano Decimo (PN)

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    Nella maggior parte dei casi il mal di schiena è legato a cause meccaniche, per esempio all’artrosi o a semplici contratture muscolari. Talvolta però può avere origine infiammatoria ed essere spia di un gruppo di malattie reumatiche, le spondiloentesoartriti, che comportano alterazioni a carico della colonna vertebrale, delle articolazioni e dei tendini. La più comune di queste malattie è la spondilite anchilosante.

    Quali sono le caratteristiche?

    «La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica che colpisce lo scheletro assiale (colonna lombare, dorsale e cervicale; bacino), soprattutto in corrispondenza dell’inserzione di tendini e legamenti, in grado di determinare una diffusa rigidità. La malattia è più comune negli uomini, soprattutto nella fascia di età tra i 25 e i 45 anni, e spesso insorge in persone con una predisposizione genetica. In circa il 90 per cento dei casi, i pazienti presentano infatti il gene HLA B27» premette Roberto Caporali, direttore dell’Unità operativa complessa di reumatologia clinica presso l’Ospedale Gaetano Pini-Cto di Milano e professore di Reumatologia all’Università degli Studi di Milano. Diversamente dal mal di schiena infiammatorio, quello di origine «meccanica», oltre a essere di gran lunga più comune nella popolazione, causa un dolore più diurno che tipicamente aumenta con il movimento e diminuisce con il riposo. Spesso la causa è una semplice contrattura muscolare. A volte il dolore è legato a una discopatia, ovvero un’alterazione che riguarda il disco intervertebrale.



    Quando va sospettata?

    «Mal di schiena soprattutto notturno, rigidità mattutina prolungata, limitazioni nei movimenti e problemi della colonna vertebrale o del bacino che non si risolvono nell’arco di tre mesi e che non hanno un’altra spiegazione sono tutti sintomi che non vanno ignorati. Tipico della spondilite anchilosante è anche il dolore che si irradia alla coscia fino al ginocchio con un andamento alternante alle natiche. Non solo, la malattia è spesso accompagnata da altre problematiche, dalle tendiniti (di frequente è coinvolto il tendine d’Achille) alla psoriasi, dall’uveite (infiammazione oculare della membrana interposta tra la sclera e la retina) alle malattie infiammatorie croniche intestinali».



    Riconoscere i sintomi

    Dolore lombare che dura da almeno tre mesi; dolore che si presenta soprattutto a riposo e spesso insorge nella seconda parte della notte; dolore che migliora con il movimento; presenza di rigidità mattutina superiore a 30 minuti; dolore che talora ha un andamento alternato alle natiche («basculante»); dolore che a volte si irradia alla coscia e non va oltre il ginocchio. A volte sono presenti disturbi associati come tendiniti, uveite, fascite plantare, artriti periferiche, psoriasi e malattie infiammatorie croniche intestinali.

    Forme iniziali e avanzate

    La spondilite anchilosante colpisce soprattutto i maschi, tra i 25 e i 45 anni. Nelle forme iniziali le strutture legamentose tra le vertebre si infiammano. Nelle forme avanzate l’infiammazione si può estendere a tratti sempre più estesi della colonna, causando l’ossificazione delle strutture legamentose e una progressiva alterazione della postura con ridotta mobilità.



    Come si effettua la diagnosi?

    «Una delle maggiori criticità della spondilite anchilosante e delle spondiloentesoartriti in generale è la diagnosi tardiva legata al fatto che il mal di schiena è un sintomo molto comune nella popolazione: più di nove persone su dieci ne soffrono almeno una volta nella vita. Tuttavia se i disturbi perdurano oltre i tre mesi, in particolare nelle persone sotto i 45 anni, è consigliabile fare una visita reumatologica ed eventualmente eseguire una risonanza magnetica o una radiografia, a seconda del presunto stadio della malattia. Nelle forme iniziali, è opportuno ricorrere alla risonanza magnetica che permette di evidenziare l’edema dell’osso, manifestazione abbastanza tipica di questa condizione. Nel caso di malattia più avanzata è spesso sufficiente la radiografia con la quale risultano ben evidenti i danni ormai irreversibili verificatesi a carico delle strutture ossee e legamentose. Per avere un quadro più completo, è poi utile eseguire alcuni esami del sangue, per esempio gli indici di infiammazione, nonché la ricerca del gene HLA B27 (il 90% dei soggetti con spondilite anchilosante è positivo per la sua presenza)».

    È possibile curarla?

    «Prima si interviene, minore è il rischio di sviluppare danni irreversibili alla colonna vertebrale, in particolare una sua fusione “a canna di bamboo”». Il primo livello di trattamento nelle forme iniziali prevede l’uso di antinfiammatori non steroidei o degli inibitori selettivi dell’enzima Cox-2 (coxib) Nei pazienti che non rispondono a questo trattamento si ricorre ai farmaci biologici. È sempre fondamentale avviare un programma di fisioterapia con esercizi per mantenere una buona mobilità articolare della colonna e potenziarne la muscolatura.

    Fisioterapia e yoga

    La riabilitazione è un caposaldo del trattamento della spondilite anchilosante, qualunque sia lo stato evolutivo della malattia. La fisioterapia serve per ridurre il dolore e la rigidità articolare, aiuta a mantenere l’escursione delle articolazioni della colonna e di quelle periferiche, previene la riduzione della massa muscolare e le deformità articolari, migliora la pastura e ha di conseguenza un impatto positivo sulla qualità della vita in generale. Il fisioterapista si può avvalere di diverse metodiche, da programmi educazionali a esercizi domiciliari. Utile anche la pratica sportiva. Gli sport più adatti sono il nuoto o l’acquagym, il pilates, lo yoga o simili, che abbinano l’allungamento tendineo agli esercizi di respirazione e di controllo della postura.

    FONTE: CORRIERE SALUTE
     
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